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sostanzialmente - sgiordanelli@hdemia.it

Fu l’ultima cosa che vidi prima di svenire.
E probabilmente l’unica che non dimenticherò.
Le prime persone che vidi una volta riaperti gli occhi avevano il camice bianco e lo stetoscopio al collo, e continuavano a ripetermi di riposare.
Poi ricomparve tutto davanti agli occhi: come un flash, in un lampo ogni cosa riprese forma. L’inizio di un incubo, se solo fosse stato un sogno.
Non lo sentii entrare in casa quel dannato giorno, non notai nulla di diverso dalle altre sere: mia moglie dormiva già da tempo, io stavo finendo di lavorare al computer e a breve l’ avrei raggiunta sotto le coperte. Mi investì alle spalle una grandine di calci e pugni, colpi da ogni parte. Caddi subito dalla sedia. Il sangue colorava il pavimento. Non ebbi la possibilità, la capacità di difendermi, le ossa si rompevano, la sorpresa mi aveva immobilizzato, non capire cosa stava accadendo mi aveva impedito ogni difesa: fu semplice per lui, poco dopo, legarmi – ancora intontito - mani e piedi alla sedia.
Implorai di prendere tutto quello che avesse voluto, che non avrei fatto denuncia, purchè ci lasciasse stare. Supplicai. Piansi, balbettai. E feci il primo errore: dirgli di mia moglie.
-Bravo, amico mio, ora inizia la festa- disse solamente mentre mi tappava la bocca con nastro isolante.
Salì al piano di sopra.
Cercai di liberarmi, di forzare quei nodi con tutte le energie, con tutta la disperazione che avevo. Nulla.
Urla. Mia moglie. Bastardo. Tonfi, rumori sordi: una colluttazione. Dio mio fa che non succeda niente, Dio aiutami- pregavo, il sangue mi andava negli occhi, mi copriva il viso.
Le urla cessarono poco dopo. E scese le scale, lentamente, mia moglie esanime sulle spalle. Mi fissò. Lo fissai. Rabbia, la mia: il suo era solo divertimento.
Scaricò Mara proprio di fronte a me, sul divano, la faccia tumefatta dai pugni; e si incamminò con uguale lentezza verso la cucina.
- Luca, amore mio. C-ch’è successo? Chi è?- mi balbettava, aveva perso due denti, lo zigomo era gonfio. Cercai di parlarle attraverso quel maledetto nastro, non ricordo più quali parole, ma gli occhi non potevano nascondere quello che provavo: paura.
- Avete finito con le chiacchiere o volete qualche minuto, piccioncini miei? Sapete, anch’io avrei qualcosa di importante da dirvi, tutto sommato- si sedette proprio al fianco di Mara, guardandola, volgendo poi lo guardo su di me. Le accarezzò il viso.
-Bastardo lasciami stare, prendi quello che vuoi ma non mi toccare.- si dimenava, cercava di liberarsi. I capelli corvini le coprivano il volto.
-Bene bene, sei una dura eh? Mi piace. Ma se tu pensi che voglia scoparti, ti stai proprio sbagliando mia cara- cercava il mio sguardo, mi provocava. Ero esausto, i nervi stavano crollando, volevo morire, non riuscivo a sostenere i suoi occhi nei miei, il suo ghigno demoniaco.
Si alzò nuovamente, si diresse in cucina, tornandone subito dopo masticando, con un piatto in mano.
Lo appoggiò sulla sedia.
- Luca, hai da dire qualcosa a tua moglie?
Non capii subito. Per fortuna.
Estrasse una lama e tagliò la gola a mia moglie. Di netto.
Il vuoto nello stomaco, l’orrore negli occhi. L’impensabile, una allucinazione negli occhi. Impossibile capire, perché, cosa stava accadendo. Perché a me. Non avevo paura, né rabbia: l’unica cosa che desideravo era morire, subito.
E lui lo capì subito, per questo mise via il coltello; prese il suo piatto e si sedette al mio fianco a godersi la scena.
Stava mangiando, il bastardo stava mangiando mentre mia moglie agonizzava.
Mara cercò di alzare la testa con tutte le sue forze, ma le forze la stavano abbandonando sempre più velocemente, solo i suoi occhi gridavano disperati: perché? Perché io, perché ora?
Durò poco, e si accasciò coprendo il proprio sangue.
-Uccidimi, falla finita- lo desideravo più di ogni altra cosa.
Questo pensavo quando feci il secondo errore. Svenni.
L’ultima cosa che sentii fu il rumore di una forchetta. 

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