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due russi a milano - fmarcucci@hdemia.it

Cucciasky e Vierosky, in vita loro, non avevano mai sofferto il freddo. I russi, difficilmente soffrono il freddo. 
Ma quella era una giornata in cui le temperature non centravano nulla, in cui il gelo al cuore lo senti anche nel deserto. Perchè il sole, in quei giorni, non riscalda. Il sole in quei giorni non basta.
Cucciasky era poco più che un ragazzino in quel periodo, cercava di essere simpatico, di essere disponibile verso i suoi colleghi di lavoro e cercava, sopratutto, di crescere. Vierosky no, lui era diverso, in pochi l'avevano visto sorridere e in molti pensavano che la sua maggiore occupazione fosse pensare più o meno male di tutto e tutti. Nessuno pensava che anche lui volesse crescere. Ma era così. E non era neppure vero che non sorridesse, o che non ridesse o che non apprezzasse certe cose o certe persone. Lo faceva, lo faceva anche lui. Con parsimonia, ma lo faceva.
Ma la diplomazia, quella no che non era un dono dei due russi. E quel giorno nessuno avrebbe sorriso.
Milano può essere una città fredda, una città che ti ruba i colori da dentro, che ti lascia con un palmo di mano rivolto verso il grigio del cielo. I russi a Milano si trovano bene.
Cucciasky e Vierosky erano là già da un paio di domeniche e, probabilmente, avrebbero dovuto passare là, ancora un paio di inverni.
Quella sera avevano voglia di vodka. Era una sera normale per loro, evidentemente, non per il loro barista abituale, quello che stava sotto l'albergo in cui sostavano, con il conto aperto senza soluzione di continuità. Lui, Gianni l'ottimista, il barista abituale, aveva deciso di farsi sparare due piombi in faccia. Uno quasi in mezzo ai due occhi che, peccato che per pochi centimetri, quasi non era al centro alla perfezione. Storie da bar si era detto. Un albanese che aveva lanciato un marocchino addosso ad un rumeno, e due arabi che avevano fatto volare due negroni in testa ad un cinese. Quotidianità globalizzata, integrata, internazionalmente complicata. Pugni e lame e pallottole. Vaganti sì, quello è il problema. E così, Gianni l'ottimista, se n'era andato, imprecando ed incrociando gli occhi: vedendosi arrivare quella pallottola tra le sue due pupille che, peccato che per pochi centimetri, quasi non era al centro alla perfezione. Risultato, conclusione e conseguenza: il bar era chiuso. Per lutto si dice. “Che palle”, ribatté Cucciasky, “bona”, aggiunse Vierosky.
Fortunatamente per loro due il bar dopo non era distante e, solo alla fine della strada, l'insegna luminosa combatteva la sua battaglia contro la nebbia grigia densa e piena di foschia della notte milanese e, come la stella cometa della natività betlemmiana, indicava loro la direzione. Pochi passi e le lettere erano ora chiare: Bar Collo. Quello sì che era il posto giusto per i due russi. Fanculo Gianni, che si riposi pure in pace. Nessuno avrebbe impedito a due russi di bersi la loro amica vodka, bottiglia di, si intende, prima di sdraiarsi fatti e sfatti nel letto ancora disfatto.
Cucciasky entra, Vierosky lo segue: l'odore non è buono, e c'è caldo, troppo. Gli occhiali di Cucciasky si appannano e lui si irrita, Vierosky si disegna una smorfia di disprezzo e disgusto sul viso e si ordina il primo bicchiere, che beve mentre ne chiede altri due. Un altro per lui, e uno per l'amico, collega, compagno. Nel senso comunista del termine. I russi non sono gay, i russi sono uomini. Uomini con il pugno chiuso.
Solo dopo un paio di bicchieri trasparenti i due si guardarono attorno, lasciando finalmente che la loro attenzione distratta si spostasse dal bancone per poter fare una rapida circumnavigazione del locale in cui erano finiti. Perché sì, quello sì che poteva essere un locale in cui si sarebbero potuti ritenere finiti.
Loro, che strani potevano risultare, con i loro cappotti sovietici e i loro colbacchi importanti, imponenti e pelosi e il naso rosso lucido, loro, là, strani non lo erano affatto, così circondati da elementi che sicuramente avevano storie di ordinaria follia alle spalle.
Gli ubriaconi erano i più seri e composti e le puttane le più sobrie e caste. Il cassiere figurava come un frankestein sfigurato, mentre incassava il conto di un povero ciarlatano logorroico che pagava a bronzetti da 1 cent pescati con cura da una grande busta di plastica gialla.
Al bancone un uomo seduto in bilico su uno sgabello, si specchiava nel suo bicchiere lurido e ormai vuoto. E con l'immagine riflessa ci parlava in una lingua che i russi non capivano, e che nessun altro comprendeva. Ad un tavolino vicino alla vetrina sostava una signora anziana, rugosa, bianca pallida, quasi dovesse diventare trasparente, ma pesantemente truccata di colori fluo verdi viola arancioni e blu. Arrotolata e appropinquata nel suo cappotto pelliccia marrone bestia, dalla quale spuntavano solo le mani, smagrite e dalle dita lunghe, che rovistavano in una busta di cartone provata dall'umidità e dall'unto. Nel tavolino dietro di se, più accentrato nella sala, trovava posto un immigrato, arso dal sole di un paese che non era lo stesso di Milano, con le sue orbite scavate, e ancora più scure del resto del viso, e il naso mal disegnato su una bocca smorfiosamente socchiusa e un mento acuminato.
Le luci al neon sfarfallavano ora levigando e ora rinforzando gli spigoli dei visi di quei curiosi abitanti del Bar Collo. Tutti per i fatti loro, presi dal loro respiro e concentrati nella comprensione della loro vita. E lì, al bancone, nell'angolo vicino al bagno, dove il puzzo di piscio sovrastava quello del vomito, che già da tempo aveva lasciato spazio a quello della merda, lì, leggermente storditi, Cucciasky e Vierosky, sorseggiavano la loro tombola di vodka. Gli sguardi freddi come i loro cuori e i corpi curvi sui loro ricordi e sogni natanti nei loro bicchieri.
E potrei dirvi ora che quella sera non era stata una sera come le altre. Potrei dirvi ora che quella è stata la sera che ha cambiato la loro vita. Ma sarebbe una bugia, perché per i russi, questa è normale e regolare quotidianità giornaliera. 
Potrei ora quindi forse narrarvi di loro altre torbide storie di sesso e prostituzione intercontinentale ed interraziale. Di soldi, di mafia, di sangue o passione. Ma no, non vi dirò niente di tutto questo.
Perché lo so cosa volete sentire voi, volete sentire che ho finito. Perché la vostra labile, flebile e volubile spam attention dislessica sta soffrendo, e volete che vi lasci liberi di riniziare a pensare alle vostre vite grigio nebbia, liberi di respirare le vostre polveri sottili, liberi di andare in pace nella vostra quotidiana guerra contro la razionalità. Beh, lo farò. Sì, lo farò, metterò ora la parola fine. Ma voi, voi non dimenticatevi di Cucciasky e Vierosky, perchè loro, loro sono tra di voi.


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