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no more - fmarcucci@hdemia.it

Quando avevo cinque anni mi sono ucciso. È stata la mia fortuna, morire. Voi non lo sapete, voi non lo potete sapere, ma da morti è tutta un'altra vita. E forse ve lo dovrei spiegare, dovrei farvi capire cosa vuol dire ammazzarsi. E cosa succede, dopo. Dovrei dirvi di non disperarvi, quando qualcuno a voi caro decide di arrestare il sistema e salutare tutto e tutti senza arrivederci. Dovrei dirvelo perché non è come pensate. Forse sì, forse dovrei proprio dirvelo. Ma, scusatemi, essere morti ha i suoi vantaggi, e uno di questi è non dover dare spiegazioni.E quindi oggi compio ventiquattro anni, i miei si sono ripresi dallo shock di diciannove anni fa e ho pure un fratellino più piccolo, anche se non mi ha mai conosciuto.
Mia sorella più grande ormai vive da sola, l'altro giorno ha telefonato a casa, ha risposto mia madre e poco dopo erano urla di gioia e pianti di commozione: ha detto che si sposa, e, sinceramente, era pure ora.
Lei, mia sorella Laura, non era stata un granché contenta quando ero nato io, ecco, diciamo che l'aveva presa un po' a male. Succede quando non sei più la novità, quando tutte le attenzioni non sono più per te e i regali li devi dividere con un'altra persona, che per te risulta un estraneo. Chi è? Che vuole? Ma perché, io non gli bastavo? Penso siano state queste le domande che Laura si è posta, e per le quali non deve aver trovato delle valide risposte. Non sempre, ma a volte, in questi casi si cade in una sorta di autismo. Laura ci era caduta, e con lei tutti noi.
I miei cinque anni di vita non sono stati tanto felici, dopo è andata meglio.
Ma voi, voi siete fermi all'idea della morte, come posso io raccontarvi della mia vita, se voi mi credete morto? Voi credete al paradiso, all'inferno, voi sperate nel purgatorio. Voi non avete fede, pensate non ci sia nulla. Voi non vi ponete il problema. Voi non sapete. Non sapete perché non avete avuto il coraggio di provare. Io diciannove anni fa ero piccolo, e sicuramente a cinque anni non si hanno concetti assoluti tali da ragionarci sopra, non ho deciso di ammazzarmi, l'ho fatto. L'ho fatto e basta. E ho continuato a crescere. Succede così. Semplicemente, succede così. Accade questo, se sei tu a decidere di chiudere il gioco. Vivi. Vivi finché saresti morto. Perché, lo sapete, lo sapete, no, miscredenti di ogni razza e fede, che tutto è scritto e che la data in cui la nera signora vi verrà a cercare è segnata già dal giorno in cui quella fottuta cicogna vi ha posato sotto una stupida foglia di un cavolo di merda? Lo sapete? Lo sapete, no? È così se non decidete di rimescolare le carte, di buttarvi fuori dal gioco e di vedervi il resto della partita da spettatori. No more responsibilities, no more stress. No more money, no more problem. È così, e per me è stato così.
Ho visto i miei piangere, mia sorella guarire, mio fratello nascere. Ho visto la normalità che si riaccasava tra quelle quattro mura che la mia nascita e la mia morte avevano sconvolto. Ho visto i miei farsi forza, li ho visti crescere.
Sapete, morire da piccoli è ben diverso che farsi fuori da grandi. Non hai avuto il tempo di fare troppi casini, non hai il problema di sapere chi si è realmente rattristato per la tua morte e chi non ha versato una lacrima, ma accennato un sorriso. Non sei costretto a vedere tua moglie conoscere nuovi uomini, e casomai sposarli. Non hai il dispiacere di vedere i tuoi figli sbagliare, senza poter far nulla per aiutarli, per correggerli.
Che pacchia quando muori da piccolo, tutti ti piangono e tutti si chiedono quale futuro glorioso avresti avuto.
Sì, se l'avessi deciso sarebbe stata proprio una bella scelta. E anche se la curiosità che mi ha portato ad affacciarmi da quel balcone, sempre di più fino a dove sono ora, non è certo stato un razionale processo di scelta e decisione, beh, vi dirò, sono contento comunque così.
Cos'avrei dovuto fare? Crescere? E poi stressarmi e invecchiare? No, no grazie, me lo sono risparmiato. Non è vita, direte voi. Ma perché, la vostra lo è? Ma per piacere. È tutto un cazzeggio dietro al materialismo. E io al mio materialismo ci ho rinunciato. Sono qui, che volteggio come un pensiero, senza pesi volo come volano le vostre idee e i vostri desideri. Ma io sono, esisto: sono un pensiero che pensa. Cogito ergo sum, no? Che bisogno avrei del corpo? Per interagire con voi? No, grazie, scusatemi ma non me ne frega un granché.
E pensare che questo mio stato, che permettetemi ma io chiamo privilegio, è dato solo a noi, noi che abbiamo deciso, più o meno razionalmente, di farci fuori. Sì, perché, è proprio il caso di dire, ironia della sorte vuole che chi viene ammazzato invece abbia finito, finito sul serio, finito per davvero mi verrebbe da dire. Quelli in questo limbo non ci passano, vanno direttamente al next level. Di cui, scusate, ma anch'io so ben poco, se non che prima o poi spetta pure a me, e che potrebbe succedermi da un momento all'altro, come a voi del resto. Anche se per me sarà più improvviso. Va bene, vi spiego: se non è che a voi vi capiti di morire nel sonno, di essere pugnalati alle spalle o di morire per qualsiasi cosa che definirei fulminante, avete quel momento breve e interminabile in cui vi rendete conto che siete prossimi al game over, in cui si dice si rivedano tutte le istantanee del proprio vissuto. Ecco, quel momento io non ce l'avrò, quello come anche la visione di un camion che mi viene addosso, o la sofferenza agonizzante di una malattia o il precipitare con un aereo o tutti quei motivi che vengono iscritti nel contenitore destino e che, in un modo o in un altro, ti portano a diventare un ricordo di chi ancora vive.
Io semplicemente morirò un'altra volta, questa volta non per mia scelta: mi staccheranno la corrente e questo stato onirico diventerà qualcos'altro che non so. Che non so. E per la quale forse ho paura. Ma le regole sono queste per morire, per morire sul serio. Puoi fregare il destino, sì, ma non per sempre e prima o poi viene comunque a prenderti. La data che era scritta per me, se non avessi fatto quel benedetto volo di 5 piani, è ancora là che mi aspetta. E io non posso fare altro che aspettare lei.
Morto per infarto mentre mi licenziavano, o in un incidente mentre tornavo a casa da mia moglie, o accoltellato in un vicolo, preso a calci mentre ripari la faccia accasciato a terra tra piscio e vomito. Morto, in qualsiasi modo sarebbe successo, sono in attesa di quel giorno. Potrebbe accadermi ora, o domani o tra anni, non lo so ma, del resto, anche questo poco cambia da voi, no? Cosa siete, pure voi, se non in attesa della morte? Siete come me, morti viventi. Ma in più vi affannate pure a cercare di arrivare ricchi e soddisfatti al giorno in cui vi renderete conto del vostro no-sense esistenziale. Io, in questi miei diciannove anni nel limbo dei suicidati, ho viaggiato per il mondo, ho desiderato di andare in un posto e ci sono stato, ho vissuto con chi ho voluto, ho ascoltato musica di ogni tipo e genere, ho visto le opere più magnifiche che l'uomo abbia creato, ho vissuto mille emozioni attraverso le vite di milioni di persone. E ho sostenuto i miei cari con il pensiero, pur sapendo bene che loro non mi sentivano. E li ho conosciuti, più di quanto loro conoscano se stessi, e sicuramente più di quanto loro abbiano conosciuto me. E li ho amati, e li amo. Anche se mi hanno scordato.


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